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“Fate presto!”

In molti si ricordano questo titolo, apparso a caratteri cubitali sul Sole 24 Ore in una piovosa giornata di metà novembre 2011. Si riferiva, ovviamente, alla precaria situazione in cui versava il Paese nei giorni dello spread Btp-Bund sopra a 500 punti.

Bene, penso in qualità di militante e dirigente del Partito Democratico che nessun titolo possa essere più indovinato rispetto alla nostra situazione partitica attuale. Di fronte alla débâcle elettorale del 4 marzo, infatti, ci aspettavamo –e ce la aspettiamo tutt’ora- una seria analisi di quanto avvenuto. Un’analisi che non sia sulle persone, o almeno non solo, e che tenga conto dei fatti che ci hanno portato a quel voto: no, non parlo dell’aumento del PIL, dei bonus, delle assunzioni di personale precario di cui tanto ci vantavamo in campagna elettorale. Parlo dell’aumento delle disuguaglianze, vero tema sul quale si è persa la campagna elettorale e che si sta ancora ignorando. Non è però questo l’argomento di questo post.

La realtà con la quale stiamo convivendo, in una situazione di grande difficoltà, ci vede a livello nazionale asserragliati su logiche di potere che non hanno più senso di esistere (vedi Gigli magici o presunti tali). Tralasciando le difficoltà con le quali si prova a dialogare con altre forze rispetto al ruolo che dovremmo avere nel Parlamento, è evidente il momento non facile tra i livelli amministrativi e quelli politici.

Partendo da Roma e arrivando alla Regione e alle amministrazioni locali, infatti, è necessario ragionare sulla nostra organizzazione interna e sulla selezione delle classi dirigenti che compongono il Partito e le Amministrazioni. Se non si capisce che siamo in una fase diversa e che il mondo è radicalmente cambiato, in futuro faremo sempre lo stesso errore: proporre gli stessi metodi per problemi diversi. Metodi che vengono prima delle persone ma che inevitabilmente richiedono interpreti diversi e più adatti all’ambiente nel quale stiamo vivendo.

E’ chiaro che non possiamo ragionare più su situazioni specifiche: se facessimo valutazioni ad personam commetteremmo un grande errore politico di valutazione. Dovremmo invece partire da noi stessi, da cosa intendiamo per Partito Democratico, quali sono i nostri valori, quali le nostre priorità, e da lì declinare gli obiettivi dei prossimi 2-3 anni. Se non si parte da una riflessione seria e da porre in essere a strettissimo giro, saremo destinati a una lunga agonia politica e amministrativa. Gli ultimi risultati delle elezioni Regionali in Molise e le prossime in Friuli ci hanno dato e ci daranno un ennesimo segnale: le elezioni locali, forse, non sono così diverse da quelle nazionali.

Partendo da quel presupposto allora dobbiamo impegnarci tutti di più per analizzare, capire, proporre soluzioni che diano impulso alle nostre stanchissime (in termini di proposte politiche, risorse e amministratori) amministrazioni locali e a quella regionale. Regione che vede nel Terremoto, nella Sanità e nel Dissesto Idrogeologico (li metto volutamente in maiuscolo) i cardini della propria azione politica dei prossimi due anni e che avrebbe bisogno di una seria riflessione a porte chiuse tra amministratori e Partito per capire se tutto quello che è stato fatto va nella giusta direzione o servono dei forti correttivi a livello di struttura politica e burocratico-amministrativa. Il tutto per riuscire a dare quelle risposte che oggi, purtroppo, o non riusciamo a dare o non sono percepite come tali. Siamo comunque di fronte ad un problema, sia esso comunicativo, organizzativo o politico. Di certo lo spartito va cambiato, perché se no saremmo destinati ad anni bui a tutti i livelli, partendo dal Comune, passando per la Regione e arrivando fino a Roma.